mercoledì 5 marzo 2014

L'INGIUSTIZIA IN TRIBUNALE.QUANDO NON SI TROVA GIUSTIZIA

Sono Lirussi Pamela, praticante avvocato a Udine presso lo studio Turco.
Durante la mia collaborazione professionale con l’avvocato Giuseppe Turco mi è capitato di avere tra le mani del materiale molto interessante riguardante i poteri forti che governano il Paese, che dimostrano come a tutti i livelli siamo ormai controllati da forze superiori a noi.
Non importa il tuo grado di istruzione.
Non importa il tuo grado di professionalità.
Non importa a chi ti appelli.
LORO sono sempre lì ad aspettare per POSSEDERTI.
Per avere tutto di te: dignità, professione, PENSIERO.
Con il consenso dell’interessato, l’avvocato presso cui svolgo la mia attività professionale, ho deciso di scrivere sulla rete quanto è successo, al fine di dare testimonianza e coraggio a chi si sente preso nelle maglie della massoneria e del falso perbenismo.
La storia affonda le proprie radici nel 2012, quando durante una riunione aperta al pubblico della Lega Nord a Trieste il dottor Paolo Polidori parla di MASSONERIA E DI POTERE OCCULTO DELLE BANCHE.
Più specificatamente, il dottor Polidori entra nel vivo della vicenda, affermando che l’Italia è nelle mani di un sistema GIUDAICO MASSONICO e che Monti, allora presidente del Consiglio italiano, null’altro fosse che un fantoccio nelle mani di Golden  Sacks, la più grande banca del mondo in mano ai giudei.
Il giorno successivo partono le richieste, del tutto arbitrali, di scuse da parte della Comunità ebraica.
Viene con decisione respinta la richiesta di scuse, posto che si ribadisce come il mondo sia anche nelle mani di poteri giudaico massoniche.
Da qui parte la denuncia per istigazione all’odio raziale.
Fin dalle prime battute l’avvocato Turco vuole mettere in chiaro che non si tratta di uno scherzo ma di mondo reale, ed eccepisce come la querela presentata dall’avvocato della comunità ebraica, l’avvocato A.Kostoris non è stata autenticata, ma solo siglata dal legale, caducando in questo modo la querela attraverso l’eccezione di improcedibilità.
Premettiamo che a redigere tale querela l’avvocato stesso si era professato un fiero appartenente alla etnia ebraica. Io personalmente ammiro molto gli ebrei perché sono un popolo che ha saputo più volte risalire la china. Non si sono mai arresi e hanno fatto in modo che il mondo credesse in loro e nelle loro capacità.
La bufera è esplosa quando l’avvocato Turco ha detto al giudice “   L’ebreo querelante non ha siglato l’atto”.
L’avvocato Kostoris non era in aula.
Ciò nonostante, neanche vi fosse qualcosa di male ad essere così chiamato, egli si è sentito risentito dalle parole dell’avvocato. Ha presentato un esposto all’ordine e – sembra –una querela in procura.
Dell’ultima parte in realtà non si è sicuri, posto che nel certificato 335 c.p.p. dei carichi pendenti sulla persona dell’avv. Turco non riferisce in merito.
Vi è un iscrizione come indagato di odio e discriminazione raziale, ma non viene esplicitato se su impulso di parte o su richiesta del p.m presente in aula il giorno dell’udienza, il 25.11.13.
Come si inserisce la massoneria e lo schiacciamento dell’identità delle singole persone in tutto questo?
Attraverso una nota testata triestina, IL PICCOLO DI TRIESTE.
Attraverso una fame per il sensazionalismo e per la caccia alle streghe.
Tre articoli nel giro di 15 giorni che si riferiscono all’accaduto.
Il primo il 26.11.13 “Kostoris definito in aula ebreo da un collega. Un esposto”.

Il secondo il 27.11.13” L’avvocato Kostoris querela il collega Turco

Dopo l’esposto all’Ordine, anche l’azione legale per violazione della legge sulla discriminazione razziale”
Il terzo il 10dicembre del 2013 dello stesso tenore.
In tutti i casi è palese un accanimento mediatico sulla questione.
La lesione della reputazione dell’avvocato Turco è palese: viene messo sotto accusa per aver usato quel sostantivo, che diventa epiteto per il popolo.
Le fonti cui il Piccolo si riporta non sono attendibili, risultano di parte e cercano di screditare un professionista nello svolgimento del proprio lavoro.
E’ una caccia al sensazionalismo, allo scoop a tutti i costi.
E’ palese che si vuole distogliere l’attenzione dai problemi veri, da ciò che c’è dietro.
Il processo va avanti ma la relazione tra l’avvocato e l’assistito prende una brutta strada: ci sono pressioni, la paura di avere a che fare con qualche cosa di impalpabile e di gigantesco che si è messo in moto per schiacciare e demolire la dignità di imputato e di difensore.
L’avvocato Turco non ci sta e chiede una rettifica al giornale. Non vuole scusarsi per  quello che ha detto, vuole far capire al lettore che le cose stanno molto diversamente da quello che la stampa vuole far credere.
C’è rispetto del proprio avversario nelle parole che l’avvocato vuole far pubblicare.
C’è necessità di far vedere che le cose non stanno come sono state paventate.
La lesione della dignità forense del professionista sta nell’essere stato accusato e processato mediaticamente prima del tempo per un sostantivo che sembra dover essere usato esclusivamente come epiteto e no come mero nome.
Il giornale anziché dare il diritto di rettifica dedica un trafiletto nella rubrica segnalazioni il giorno 27.11.13.
In realtà la vicenda si era svolta sulle pagine de “Trieste cronaca”, quindi il diritto di replica secondo legge avrebbe dovuto estrinsecarsi sulle stesse pagine.
In data 27.11.13 l’avvocato chiede il diritto di replica per quanto apparso in quella giornata sulla testata. Ugualmente lo fa dopo il terzo attacco in dicembre 2013.
Le richieste rimangono lettera morta.
Al fine di tutelare la propria immagine, lesa anche dal fatto  che sul Web circola la notizia divulgata da diverse fonti di parte che accusano l’avvocato Turco di antisemitismo, l’avvocato Turco si rivolge al giudice attraverso una istanza d’urgenza ex art 700c.p.c
La risposta del Giudice, dott.ssa Fanelli, è negativa.
Anziché ammettere il diritto di replica rigetta l’istanza una prima volta, dichiarando fumosamente che latente nello scritto di replica ci sarebbe un disprezzo per la controparte ebraica.
Il suo verdetto viene avvalorato dal Collegio, che in seconda istanza viene chiamato a decidere sul reclamo.
Vorrei porre l’attenzione del lettore, in particolare, sulla lettera del secondo ricorso d’urgenza, anch’esso rigettato, in relazione al secondo diritto di replica, datato dicembre 2013, in cui l’avvocato Turco ribadiva con forza la sua estraneità all’accusa di razzismo.
In tale sede, si produceva, così come era stato prodotto in appello per la prima violazione, un corposo scritto difensivo in cui si faceva l’analisi logica della propria richiesta di rettifica, al fine di dimostrare che non vi fossero secondi fini nella richiesta stessa, e che essa fosse dettata da un desiderio di spiegare come “ebreo” fosse da intender come sostantivo e non come epiteto.
Nell’ordinanza della dottoressa Fanelli, pur dando in primo acchito nota del fatto che l’articolo reclamato dall’avvocato “recherebbe la rilevante novità della querela- denuncia alla Procura della Repubblica a carico del ricorrente per violazione della legge sulla discriminazione razziale”, d’altro canto fumosamente riferisce che l’avvocato Turco non mirerebbe ad una rettifica in senso proprio, ma ad altro.
Riferisce l’ordinanza che non sia dato scorgere quali siano gli atti, pensieri, affermazioni a lui attribuiti ritenuti offensivi per la propria reputazione, ovvero in cosa sia consistita la lesione, a parte una generica e astratta affermazione di principio.
In realtà la dottoressa Fanelli simula di non capire come la lesione della dignità sia in re ipsa, ossia nella stessa realtà di essere dalla testata giornalistica additato come razzista, quasi una condanna prima che ci sia stata una sentenza, senza un contradditorio tra le parti.
Si legge ancora che il Piccolo avrebbe semplicemente riportato fatti processuali, senza schierarsi.
Ciò non è vero, perché in realtà la testata giornalistica, alla ricerca del sensazionalismo, non si premura di assicurarsi che le situazioni descritte corrispondano a realtà.
Infatti, ci si attiene alle semplici dichiarazioni di una parte, senza dare all’altra la possibilità di difendersi e lasciandola nell’onta di una si grave affermazione.
L’ordinanza in questione, continua, indica che in realtà l’avvocato Turco altro non vorrebbe che una “orgogliosa auto- difesa o giustificazione o precisazione, (se non addirittura, in senso rafforzativo al là dei proclami di intenti di neutralità, tanto da reiterare concetti quali…) “ e “ al contempo valorizzando ed accentuando, con particolare enfasi, se non disprezzo, la propria diversa appartenenza al popolo friulano, di fede religiosa in Cristo”
Ciò che la giudice intende imbavagliare è un grande diritto all’identità , che non preclude la diversità ma che la valorizza.
Sembra non vi sia più il diritto di manifestare rispetto per l’avversario attraverso una fiera opposizione di culture, ma che per non essere accusati di razzismo si debba tutti uniformarsi ai dettami del benpensante.
Ciò è inadeguato per un pensiero democratico che si possa chiamare tale.
A finire, la giudice afferma che il testo contenuto nella richiesta di rettifica si a sua volta suscettibile di incriminazione penale e che dunque sia da estromettere dall’applicazione dell’art di legge sulla stampa.
Ciò non è conforme a verità, posto che nello scritto si sosteneva semplicemente le ragioni per cui chiamare una persona “ebreo” non fosse in senso dispregiativo.
Ci si chiede come mai in denuncia querela l’avvocato Kostoris possa dire di se stesso di essere un ebreo, mentre la controparte se utilizza lo stesso termine deve essere necessariamente inteso come epiteto di scherno.
E’ facile per il potere della magistratura fermare la presa di posizione di dignità di una persona bloccando un testo semplicemente dicendo che il contenuto è passibile di incriminazione penale SENZA DARE SPIEGAZIONI SULLA FATTISPECIE PENALE CHE ANDREBBE PREFIGURANDOSI.
Si giustifica la giudice dicendo che nello scritto ci sarebbe un “verosimile carattere almeno astrattamente diffamatorio, o forse di più o meno velata istigazione all’odio e alla discriminazione raziale” e ancora “ non senza ancora una volta evidenziare il tono generale non solo di neutrale distacco, bensì di disprezzo, se non di altera superiorità, di cui appare permeato tutto lo scritto”
Quello che ho riportato in virgolette non appare essere una razionale ed oggettiva motivazione della decisione presa, ma in realtà invece una mera presa di posizione soggettiva.
Come il giudice la pensa secondo la propria soggettiva sensibilità, che non è quella generale così come emerge dalla lettera della richiesta di rettifica.
In una parola il testo della ordinanza è una soggettiva presa di posizione come essere umano da parte di un soggetto che dovrebbe essere imparziale, ed applicare la legge.
Infatti, come non notare che dal testo dell’ordinanza, che non verrà purtroppo impugnata, trasale come la pensa il giudice – persona fisica, del tutto avulsa dal dato soggettivo della lettera del testo sottoposto alla attenzione del Tribunale.
Alla fine della fiera i poteri forti e sensazionalistici che stanno dietro alla realtà, manipolandola anziché lasciandola libera da intralci che la schiavizzano, ha avuto la meglio.
Il lettore medio non saprà mai che cosa c’era dietro quella parola, ma si immaginerà –e continuerà a farlo, visto che il contenuto degli articoli incriminati continuerà a circolare su internet – che il sostantivo “ebreo” sia indice sempre e comunque di dispregio di un popolo.
Se il giudice avesse letto correttamente il contenuto dei corposi ricorsi, si sarebbe resa conto che l’imbavagliamento del pensiero porta lo stesso verso un senso unico di intesa, a discapito di chi non ha mezzi per farsi valere, e sempre senza guardare in faccia alla credibilità lesa.
Questa ordinanza ha reso un cittadino schiavo dei poteri mediatici forti e del sensazionalismo.
Ci sarà mai un posto dove il comune mortale può far valere la propria dignità e il proprio diritto a non farsi infangare la propria reputazione?
Non è dato saperlo.


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