Sono Lirussi Pamela, praticante avvocato a Udine presso lo
studio Turco.
Durante la mia collaborazione professionale con l’avvocato
Giuseppe Turco mi è capitato di avere tra le mani del materiale molto
interessante riguardante i poteri forti che governano il Paese, che dimostrano
come a tutti i livelli siamo ormai controllati da forze superiori a noi.
Non importa il tuo grado di istruzione.
Non importa il tuo grado di professionalità.
Non importa a chi ti appelli.
LORO sono sempre lì ad aspettare per POSSEDERTI.
Per avere tutto di te: dignità, professione, PENSIERO.
Con il consenso dell’interessato, l’avvocato presso cui
svolgo la mia attività professionale, ho deciso di scrivere sulla rete quanto è
successo, al fine di dare testimonianza e coraggio a chi si sente preso nelle
maglie della massoneria e del falso perbenismo.
La storia affonda le proprie radici nel 2012, quando durante
una riunione aperta al pubblico della Lega Nord a Trieste il dottor Paolo
Polidori parla di MASSONERIA E DI POTERE OCCULTO DELLE BANCHE.
Più specificatamente, il dottor Polidori entra nel vivo
della vicenda, affermando che l’Italia è nelle mani di un sistema GIUDAICO
MASSONICO e che Monti, allora presidente del Consiglio italiano, null’altro
fosse che un fantoccio nelle mani di Golden
Sacks, la più grande banca del mondo in mano ai giudei.
Il giorno successivo partono le richieste, del tutto
arbitrali, di scuse da parte della Comunità ebraica.
Viene con decisione respinta la richiesta di scuse, posto
che si ribadisce come il mondo sia anche nelle mani di poteri giudaico
massoniche.
Da qui parte la denuncia per istigazione all’odio raziale.
Fin dalle prime battute l’avvocato Turco vuole mettere in
chiaro che non si tratta di uno scherzo ma di mondo reale, ed eccepisce come la
querela presentata dall’avvocato della comunità ebraica, l’avvocato A.Kostoris
non è stata autenticata, ma solo siglata dal legale, caducando in questo modo
la querela attraverso l’eccezione di improcedibilità.
Premettiamo che a redigere tale querela l’avvocato stesso si
era professato un fiero appartenente alla etnia ebraica. Io personalmente
ammiro molto gli ebrei perché sono un popolo che ha saputo più volte risalire
la china. Non si sono mai arresi e hanno fatto in modo che il mondo credesse in
loro e nelle loro capacità.
La bufera è esplosa quando l’avvocato Turco ha detto al
giudice “ L’ebreo querelante non ha
siglato l’atto”.
L’avvocato Kostoris non era in aula.
Ciò nonostante, neanche vi fosse qualcosa di male ad essere
così chiamato, egli si è sentito risentito dalle parole dell’avvocato. Ha
presentato un esposto all’ordine e – sembra –una querela in procura.
Dell’ultima parte in realtà non si è sicuri, posto che nel
certificato 335 c.p.p. dei carichi pendenti sulla persona dell’avv. Turco non
riferisce in merito.
Vi è un iscrizione come indagato di odio e discriminazione
raziale, ma non viene esplicitato se su impulso di parte o su richiesta del p.m
presente in aula il giorno dell’udienza, il 25.11.13.
Come si inserisce la massoneria e lo schiacciamento dell’identità
delle singole persone in tutto questo?
Attraverso una nota testata triestina, IL PICCOLO DI
TRIESTE.
Attraverso una fame per il sensazionalismo e per la caccia
alle streghe.
Tre articoli nel giro di 15 giorni che si riferiscono
all’accaduto.
Il primo il 26.11.13 “Kostoris definito in aula ebreo da un
collega. Un esposto”.
Il secondo il 27.11.13”
L’avvocato Kostoris querela il collega Turco
Dopo l’esposto all’Ordine, anche l’azione legale per
violazione della legge sulla discriminazione razziale”
Il terzo il 10dicembre del 2013 dello stesso tenore.
In tutti i casi è palese un accanimento mediatico
sulla questione.
La lesione della reputazione dell’avvocato Turco è
palese: viene messo sotto accusa per aver usato quel sostantivo, che diventa epiteto
per il popolo.
Le fonti cui il Piccolo si riporta non sono
attendibili, risultano di parte e cercano di screditare un professionista nello
svolgimento del proprio lavoro.
E’ una caccia al sensazionalismo, allo scoop a tutti i
costi.
E’ palese che si vuole distogliere l’attenzione dai
problemi veri, da ciò che c’è dietro.
Il processo va avanti ma la relazione tra l’avvocato e
l’assistito prende una brutta strada: ci sono pressioni, la paura di avere a
che fare con qualche cosa di impalpabile e di gigantesco che si è messo in moto
per schiacciare e demolire la dignità di imputato e di difensore.
L’avvocato Turco non ci sta e chiede una rettifica al
giornale. Non vuole scusarsi per quello
che ha detto, vuole far capire al lettore che le cose stanno molto diversamente
da quello che la stampa vuole far credere.
C’è rispetto del proprio avversario nelle parole che
l’avvocato vuole far pubblicare.
C’è necessità di far vedere che le cose non stanno
come sono state paventate.
La lesione della dignità forense del professionista
sta nell’essere stato accusato e processato mediaticamente prima del tempo per
un sostantivo che sembra dover essere usato esclusivamente come epiteto e no
come mero nome.
Il giornale anziché dare il diritto di rettifica
dedica un trafiletto nella rubrica segnalazioni il giorno 27.11.13.
In realtà la vicenda si era svolta sulle pagine de
“Trieste cronaca”, quindi il diritto di replica secondo legge avrebbe dovuto
estrinsecarsi sulle stesse pagine.
In data 27.11.13 l’avvocato chiede il diritto di
replica per quanto apparso in quella giornata sulla testata. Ugualmente lo fa
dopo il terzo attacco in dicembre 2013.
Le richieste rimangono lettera morta.
Al fine di tutelare la propria immagine, lesa anche
dal fatto che sul Web circola la notizia
divulgata da diverse fonti di parte che accusano l’avvocato Turco di
antisemitismo, l’avvocato Turco si rivolge al giudice attraverso una istanza
d’urgenza ex art 700c.p.c
La risposta del Giudice, dott.ssa Fanelli, è negativa.
Anziché ammettere il diritto di replica rigetta
l’istanza una prima volta, dichiarando fumosamente che latente nello scritto di
replica ci sarebbe un disprezzo per la controparte ebraica.
Il suo verdetto viene avvalorato dal Collegio, che in
seconda istanza viene chiamato a decidere sul reclamo.
Vorrei porre l’attenzione del lettore, in particolare,
sulla lettera del secondo ricorso d’urgenza, anch’esso rigettato, in relazione
al secondo diritto di replica, datato dicembre 2013, in cui l’avvocato Turco
ribadiva con forza la sua estraneità all’accusa di razzismo.
In tale sede, si produceva, così come era stato
prodotto in appello per la prima violazione, un corposo scritto difensivo in
cui si faceva l’analisi logica della propria richiesta di rettifica, al fine di
dimostrare che non vi fossero secondi fini nella richiesta stessa, e che essa
fosse dettata da un desiderio di spiegare come “ebreo” fosse da intender come
sostantivo e non come epiteto.
Nell’ordinanza della dottoressa Fanelli, pur dando in
primo acchito nota del fatto che l’articolo reclamato dall’avvocato “recherebbe
la rilevante novità della querela- denuncia alla Procura della Repubblica a
carico del ricorrente per violazione della legge sulla discriminazione
razziale”, d’altro canto fumosamente riferisce che l’avvocato Turco non
mirerebbe ad una rettifica in senso proprio, ma ad altro.
Riferisce l’ordinanza che non sia dato scorgere quali
siano gli atti, pensieri, affermazioni a lui attribuiti ritenuti offensivi per
la propria reputazione, ovvero in cosa sia consistita la lesione, a parte una
generica e astratta affermazione di principio.
In realtà la dottoressa Fanelli simula di non capire
come la lesione della dignità sia in re ipsa, ossia nella stessa realtà di
essere dalla testata giornalistica additato come razzista, quasi una condanna
prima che ci sia stata una sentenza, senza un contradditorio tra le parti.
Si legge ancora che il Piccolo avrebbe semplicemente
riportato fatti processuali, senza schierarsi.
Ciò non è vero, perché in realtà la testata
giornalistica, alla ricerca del sensazionalismo, non si premura di assicurarsi
che le situazioni descritte corrispondano a realtà.
Infatti, ci si attiene alle semplici dichiarazioni di
una parte, senza dare all’altra la possibilità di difendersi e lasciandola
nell’onta di una si grave affermazione.
L’ordinanza in questione, continua, indica che in
realtà l’avvocato Turco altro non vorrebbe che una “orgogliosa auto- difesa o
giustificazione o precisazione, (se non addirittura, in senso rafforzativo al
là dei proclami di intenti di neutralità, tanto da reiterare concetti quali…) “
e “ al contempo valorizzando ed accentuando, con particolare enfasi, se non
disprezzo, la propria diversa appartenenza al popolo friulano, di fede
religiosa in Cristo”
Ciò che la giudice intende imbavagliare è un grande
diritto all’identità , che non preclude la diversità ma che la valorizza.
Sembra non vi sia più il diritto di manifestare
rispetto per l’avversario attraverso una fiera opposizione di culture, ma che
per non essere accusati di razzismo si debba tutti uniformarsi ai dettami del
benpensante.
Ciò è inadeguato per un pensiero democratico che si
possa chiamare tale.
A finire, la giudice afferma che il testo contenuto
nella richiesta di rettifica si a sua volta suscettibile di incriminazione
penale e che dunque sia da estromettere dall’applicazione dell’art di legge
sulla stampa.
Ciò non è conforme a verità, posto che nello scritto
si sosteneva semplicemente le ragioni per cui chiamare una persona “ebreo” non
fosse in senso dispregiativo.
Ci si chiede come mai in denuncia querela l’avvocato
Kostoris possa dire di se stesso di essere un ebreo, mentre la controparte se
utilizza lo stesso termine deve essere necessariamente inteso come epiteto di
scherno.
E’ facile per il potere della magistratura fermare la
presa di posizione di dignità di una persona bloccando un testo semplicemente
dicendo che il contenuto è passibile di incriminazione penale SENZA DARE
SPIEGAZIONI SULLA FATTISPECIE PENALE CHE ANDREBBE PREFIGURANDOSI.
Si giustifica la giudice dicendo che nello scritto ci
sarebbe un “verosimile carattere almeno astrattamente diffamatorio, o forse di
più o meno velata istigazione all’odio e alla discriminazione raziale” e ancora
“ non senza ancora una volta evidenziare il tono generale non solo di neutrale
distacco, bensì di disprezzo, se non di altera superiorità, di cui appare
permeato tutto lo scritto”
Quello che ho riportato in virgolette non appare
essere una razionale ed oggettiva motivazione della decisione presa, ma in
realtà invece una mera presa di posizione soggettiva.
Come il giudice la pensa secondo la propria soggettiva
sensibilità, che non è quella generale così come emerge dalla lettera della
richiesta di rettifica.
In una parola il testo della ordinanza è una
soggettiva presa di posizione come essere umano da parte di un soggetto che
dovrebbe essere imparziale, ed applicare la legge.
Infatti, come non notare che dal testo dell’ordinanza,
che non verrà purtroppo impugnata, trasale come la pensa il giudice – persona
fisica, del tutto avulsa dal dato soggettivo della lettera del testo sottoposto
alla attenzione del Tribunale.
Alla fine della fiera i poteri forti e
sensazionalistici che stanno dietro alla realtà, manipolandola anziché
lasciandola libera da intralci che la schiavizzano, ha avuto la meglio.
Il lettore medio non saprà mai che cosa c’era dietro
quella parola, ma si immaginerà –e continuerà a farlo, visto che il contenuto
degli articoli incriminati continuerà a circolare su internet – che il
sostantivo “ebreo” sia indice sempre e comunque di dispregio di un popolo.
Se il giudice avesse letto correttamente il contenuto
dei corposi ricorsi, si sarebbe resa conto che l’imbavagliamento del pensiero
porta lo stesso verso un senso unico di intesa, a discapito di chi non ha mezzi
per farsi valere, e sempre senza guardare in faccia alla credibilità lesa.
Questa ordinanza ha reso un cittadino schiavo dei
poteri mediatici forti e del sensazionalismo.
Ci sarà mai un posto dove il comune mortale può far
valere la propria dignità e il proprio diritto a non farsi infangare la propria
reputazione?
Non è dato saperlo.
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